Il calcio e la responsabilità sociale d’impresa: la questione della superlega

Le prime pagine dei quotidiani di qualche settimana fa sono state interamente occupate per un paio di giorni dalla vicenda della Superlega di calcio: il prematuramente abortito progetto della competizione privata a numero chiuso alternativa alla Champions League che avrebbe riunito le migliori squadre europee. Si era parlato, nello specifico, di venti club partecipanti, di cui quindici di diritto – i club fondatori –, con un meccanismo di qualificazione per altre squadre, che sarebbero state selezionate ogni anno in base ai risultati conseguiti nella stagione precedente.
Il fatto, apparentemente semplice, è stato presentato dei media come il tentativo dei club più ricchi e indebitati di escogitare una soluzione elitaria, chiusa, che avrebbe negato ogni parvenza di merito sportivo e di spazio aspirazionale per i Davide del calcio, per arricchirsi ancor di più e far quadrare i conti di bilancio. Larga parte della retorica è stata montata, in realtà, senza analizzare approfonditamente il progetto, che prevedeva, tra le altre cose, anche dei fondi perequativi volti alla redistribuzione dei maggiori proventi alle società non facenti parte di questo campionato internazionale.
Senza addentrarsi nelle tecnicalità, merita qui evidenziare come la vicenda si presti a un’analisi su più piani di lettura rispetto a quelli sino a ora evidenziati nelle pagine dei quotidiani, tra cui quello che permette di leggere l’operazione Superlega come una questione di responsabilità sociale d’impresa e dunque di rilevanza di istanze esterne alla ristretta compagine societaria. Istanze, queste, che – semplificando – vanno sostanzialmente a coincidere con gli interessi, non necessariamente economici, degli stakeholder, cioè di tutti i soggetti, diversi dai soci investitori (shareholders), che sono in qualche modo implicati dall’attività d’impresa: dai dipendenti ai membri della comunità locale; dai fornitori ai clienti (che, nel gioco del calcio, sono i tifosi e gli appassionati).
Al netto delle cautele, pur doverose, relative al fatto di trovarsi ad analizzare un segmento di mercato del tutto particolare, che movimenta volumi d’affari enormi e che presenta oggi, dopo un anno e mezzo di pandemia, problemi finanziari altrettanto macroscopici (il sistema calcio, già in difficoltà per i suoi squilibri strutturali, stima perdite legate all’impatto della pandemia fra i 6,5 e gli 8,5 miliardi; i top club fondatori della Superleague potrebbero perdere tra questa e la prossima stagione 2,5 miliardi, quasi la metà del totale, e veder peggiorata la propria posizione patrimoniale con debiti finanziari netti aggregati di oltre 3 miliardi), la questione si spiega agevolmente se la si considera come un contrasto tra le logiche finanziarie degli azionisti di maggioranza e le aspirazioni dei portatori di interessi diffusi, considerati erroneamente irrilevanti, o addirittura non considerati affatto, e invece essenziali in quanto fruitori del prodotto finale. Per questi ultimi, è evidente, il pareggio di bilancio delle società calcistiche è del tutto secondario rispetto all’essere spettatori di una bella partita giocata dalla loro squadra del cuore.
Il naufragio della proposta, imputabile anche a evidenti errori di comunicazione, è dunque da leggere nell’ottica di un contrasto che si è consumato, più che tra le venti big del calcio europeo (e dunque mondiale) e le istituzioni ufficiali (Uefa, e governo inglese in primis), tra le prime e la loro stessa base di legittimazione: i tifosi, i quali non possono essere relegati, per loro propria natura, a puri e semplici “clienti” della performance dell’intrattenimento sportivo.
Per il cliente-tifoso, l’opzione di scegliere un altro prodotto di pari qualità, come potrebbe essere in un qualsiasi altro settore merceologico in cui vige un sistema di concorrenza, è una possibilità semplicemente non percorribile. L’alternativa è tra tifare quella determinata squadra e non seguire più affatto lo sport del calcio. Egli, dunque, rispetto alla propria squadra (e non è un caso che nel lessico comune si parli appunto di «propria» squadra, a identificare un’immedesimazione del cliente-tifoso che trascende il diritto di proprietà in senso tecnico) non può essere considerato come un semplice consumatore di un prodotto dello spettacolo, venendo invece attratto nell’ambito di una comunità di interessi che deve essere letta, soprattutto dagli stessi club, come composta da veri e propri «titolari di una posta in gioco», cioè stakeholder, pur non presentando i tifosi nessun formale collegamento in senso stretto con la società calcistica non potendo vantare nei confronti della stessa nessuna pretesa giuridicamente azionabile.
La logica della massimizzazione del profitto propria degli shareholder, in definitiva, si è scontrata frontalmente con le aspirazioni della maggior parte degli spettatori di una partita di calcio: emozionarsi nel vedere una giocata particolarmente spettacolare, ma soprattutto, una vittoria inaspettata, nel quadro di uno sport che fa dell’imponderabile la cifra della sua enorme popolarità. Tralasciare questo palese dato di realtà, non considerare cioè la società calcistica come un soggetto aggregante che di per sé è in grado di incidere nella sfera dei propri sostenitori, non potrà che portare alla disaffezione rispetto alla stessa e dunque, a lungo andare, alla perdita di valore della medesima e, se la questione diventa sistemica, allo sport del calcio in generale.
Il caso è destinato a non rimanere isolato se i manager delle grandi società non cambiano paradigma, poiché lo schema del recente fallimento, pur variando e specificandosi, può riprodursi anche in altri settori di mercato, specialmente in quelli in cui a essere coinvolti sono beni non essenziali.
Mattia Facci
Approfondimenti:
AA.VV., La responsabilità sociale d’impresa, a cura di V. Di Cataldo e P. Sanfilippo, Torino, 2013.
AA.VV., La responsabilità dell’impresa. Per i trent’anni di Giurisprudenza commerciale, Milano, 2006.
- Angelici, Divagazioni sulla responsabilità sociale d’impresa, in Riv. soc., 2018, pp. 1 ss.
- Bellinazzo, Perché è fallita la superlega, in un sistema calcio a rischio default?, 24 aprile 2021, in ilsole24ore.com, visualizzato in data 21 maggio 2021
Commissione Europea, Libro Verde: Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, 18 luglio, 2001, reperibile al seguente link.
R.E. Freeman, Strategic Management: a Stakeholder approach, Pitman, Boston, 1984.